La perdurante crisi economica mondiale ripropone in modo sempre più prepotente le tematiche legate ai problemi energetici che affliggono il nostro paese. Un male che oseremmo definire cronico; sono ormai molti i decenni in cui l’Italia non sembra perseguire una reale e decisa politica energetica.
Sebbene gli aspetti da esaminare siano molteplici, appare chiaro premettere che un paese che si rispetti debba impostare la propria politica nell’interesse generale e non di pochi gruppi di interesse, seguendo un approccio piuttosto oggettivo nelle proprie scelte a lunga scadenza, come è necessario che avvenga per la politica energetica.
Gli aspetti da considerare variano dalle fonti di approvvigionamento, alle scelte in fatto di risparmio energetico, alla razionalizzazione ed ottimizzazione del sistema dei trasporti, alla legittima difesa di peculiarità industriali, qualora queste rappresentino dei fiori all’occhiello della nostra economia. Tutto ciò, in armonia con gli obiettivi di protezione dell’ambiente e della salute pubblica.
La tecnologia e le risorse oggi a nostra disposizione sono in grado di farci raggiungere i fini più ambiziosi anche senza proporre un modello sociale basato sulla rinuncia e sull’austerità. A titolo di esempio, valutiamo due possibili approcci spesso adoperati per ridurre la quantità di energia necessaria al riscaldamento di un edificio: il primo consiste nel riscaldarlo di meno, il secondo nel renderlo più efficiente. È evidente che la seconda opzione è decisamente più efficace e razionale, foriera di sviluppo e non di privazioni e depressione come per la prima.
In una serie di riflessioni che seguiranno nei prossimi giorni, ci proponiamo di esaminare tutti questi aspetti. Non abbiamo la pretesa di proporre soluzioni innovative ma speriamo di contribuire alla formazione di una coscienza critica da parte di tutti, che porti finalmente all’elaborazione di politiche condivise e ci permettano di affrontare il problema energetico in modo più incisivo e consapevole.
Il nostro paese in realtà pare che abbia una politica energetica condivisa da governo e opposizione, che dura da molti decenni.
Il problema principale è che proprio questo elemento di condivisione di fondo fa sì che il comune cittadino venga mantenuto lontano dalle decisioni, anche di grande importanza, senza essere interpellato e tantomeno opportunamente informato.
Appare proprio che in Italia si sia scelto di considerare l’energia uno strumento di scambio non dissimile a quello che si fece con l’agricoltura all’epoca della costituzione del Mercato Comune, oltre mezzo secolo fa, quando si decise di sacrificare l’agricoltura a favore di quote di produzione di acciaio. Con il senno di poi questa politica è risultata spaventosamente sbagliata: oggi di acciaio se ne produce molto poco e contemporaneamente abbiamo un settore agricolo spaventosamente debole.
La sensazione che abbiamo è che la nostra classe politica abbia fatto la stessa cosa con il settore energetico: si è infatti apparentemente scelto di continuare a dipendere dall’estero, e soprattutto da certi paesi, al solo scopo di ingraziarseli. Quali sono le ragioni? Molteplici: in alcuni casi questo è probabilmente servito ad eliminare il rischio di attentati, in altri forse è servito a ridurre il flusso di immigrati clandestini, in altri ancora si è optato per la dipendenza energetica per poter entrare commercialmente sui mercati di specifici paesi.
Sebbene non ci sia nulla in contrario, in linea di principio, nei confronti di queste scelte (probabilmente sono le migliori che la nostra classe politica potesse compiere), ciò che risulta difficile da accettare è il mancato coinvolgimento dell’opinione pubblica in queste scelte. Non è mai accaduto, da oltre trent’anni!
Un esempio di questo atteggiamento potrebbe essere quello dei rigassificatori. Non vogliamo in questa fase entrare in merito al loro impatto ambientale, che potrebbe essere elevato, abbiamo però il sospetto che un numero maggiore di rigassificatori nel nostro paese porterebbero ad una calmierazione dei costi del gas e dei volumi che ci siamo impegnati ad acquistare dai nostri tradizionali fornitori. Questo potrebbe creare problemi internazionali. Ma non vi sembra che noi cittadini italiani dovremmo poter decidere?
È evidente che se lo scenario che qui stiamo delineando fosse vicino alla realtà, spigherebbe il perché non si sia mai proceduto, ad esempio, ad una reale politica di efficienza energetica. I nostri consumi continuano ad aumentare, quando le tecnologie per ridurli sono notissime. L’energia in Italia costa moltissimo e l’impatto ambientale è spaventoso. Tutti sanno che in Pianura Padana, che ormai è quasi un unico centro urbano, sono sempre più numerose le giornate in cui l’aria è irrespirabile. Inoltre il costo dell’energia, uno dei più alti in Europa, sta contribuendo ad uccidere la nostra industria, i costi sanitari del disastro ambientale si riflettono anche sul livello di tassazione e a loro volta contribuiscono a deprimere la nostra economia.
Ammesso che non si voglia o non si possa variare il nostro mix energetico, sarebbe perlomeno possibile lavorare su una riduzione dei consumi.
Iniziamo con l’esaminare l’efficienza energetica degli edifici. Oggi si parla spesso di classi di efficienza energetica, anche se queste non sono ancora ben state definite. In linea di principio, un edificio in classe energetica A dovrebbe consumare meno di 30 kWh all’anno per m². Tuttavia le differenze climatiche possono influire molto su questo numero ed inoltre, ad esser rigorosi, non viene specificata la temperatura da mantenere all’interno, sia in estate che in inverno.
Tecnicismi a parte, il problema è che gran parte dei nostri edifici sono spaventosamente inefficienti. Facciamo rapidamente un conto di quanti m³ di metano, o litri di gasolio, utilizziamo in un anno. 1 m³ di metano (o 1 litro di gasolio) corrispondono circa a 10 kWh di energia termica. Quindi, sulla base delle nostre bollette, siamo in grado di capire approssimativamente quanti kWh consumiamo in un anno.
Dividiamo il numero appena dedotto per la superficie (in m²) del nostro appartamento/edificio, così da poterci rendere conto del consumo per unità di superficie. Un edificio in classe B dovrebbe consumare meno di 50 kWh per m², includendo pure i consumi elettrici del condizionatore durante l’estate. Immaginiamo quindi che il numero ottenuto dal nostro calcolo sia ad esempio 200 kWh per m². Orbene, intervenendo in modo oculato sui ponti termici presenti (copertura, pareti esterne, serramenti…) potremmo facilmente ridurre di 4 volte la nostra bolletta annua: è poco?
Bisogna dare atto allo Stato e a molte Regioni della particolare attenzione nei confronti del problema dell’efficienza energetica degli edifici, promossa attraverso l’elargizione di numerosi incentivi per le opere di miglioramento. Tuttavia i contributi sono quasi sempre molto complessi da ottenere.
Si potrebbe alternativamente ottenere dei risultati penalizzando gli edifici inefficienti. Nel caso in cui il consumo sia in eccesso, per esempio oltre 50 kWh annui per m², si potrebbe aumentare proporzionalmente il costo dei combustibili ed impiegare queste risorse per premiare quei soggetti che possano provare un improvviso calo dei consumi associato ad una valida certificazione energetica del proprio immobile. Se poi si prevedessero prestiti a tasso agevolato, i risultati sarebbero ben più immediati ed evidenti senza passare per le lunghe e scoraggianti complicazioni burocratiche attuali.
Probabilmente questo è contrario alla logica del libero mercato in cui più si consuma meno si paga ma l’attuale situazione economica italiana richiede delle misure drastiche ed efficienti. Non meno importante è la considerazione che questo tipo di interventi costituiscano un vero e proprio volano per l’economia e mettano in moto un settore, quello delle ristrutturazioni energetiche, essenziale almeno per il prossimo decennio.